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Negli ultimi anni si è verificato un sensibile aumento di persone che soffrono del disturbo da attacco di panico, che si presenta improvvisamente lasciando la persona nello sconforto più totale, avvolta dalla paura di non possedere gli strumenti necessari per “controllare” ciò che sta accadendo.

Varie scuole di psicologia si sono occupate di studiare la causa degli attacchi di panico; tutte sono concordi sulla sua origine, ma ciascuna fornisce spiegazioni diverse.

I modelli principali che prenderemo in considerazione in questo articolo sono: l’approccio Gestaltico, il modello psicodinamico  e il modello cognitivo comportamentale.

L’attacco di panico secondo l’approccio Gestaltico

Secondo la  teoria della Gestalt, il panico è un fenomeno che ha una funzione protettiva per l’organismo nelle situazioni di estremo pericolo ambientale. Accade quando il soggetto è sottoposto ad una improvvisa, incombente e grave minaccia e non può né fuggire né opporsi efficacemente al pericolo; la persona si sente sola ad affrontare un pericolo percepito come estremo di fronte al quale si avverte inadeguata. L’eccitazione è così intensa, incontenibile e senza sostegno che il soggetto avverte il pericolo di morte.

Nell’attacco di panico, quindi, ciò che crea l’esperienza è lo scarto improvviso tra eccitazione e sostegno: l’eccitazione cresce ma non c’è un adeguato sostegno interno ed esterno. Questa sensazione di instabilità viene evitata interrompendo il contatto con l’ambiente.

Ciò che accade nell’attacco di panico è l’improvvisa perdita del ground: ciò a cui sentiamo abitualmente di appartenere e che da sempre ci appartiene.

Dopo il primo attacco di panico, la paura che il ground possa crollare nuovamente, fa sì che quell’emozione resti fissamente in figura con ciò che normalmente è invece sfondo, e anche, quindi, i contatti naturali e acquisiti restano figura (“sto respirando bene?”, “sto ragionando correttamente?”).

Per chi soffre di attacchi di panico è importante tener presente che sono necessari sostegni diversi. L’attacco di panico può manifestarsi proprio quando è impossibile, improvvisamente, attuare l’interruzione di contatto abituale, e quando nel campo manca un sostegno adeguato (Perls F.S., R.F. Hefferline, P. Goodman, Teoria e pratica della terapia della Gestalt, Astrolabio, Roma).

L’attacco di panico secondo la teoria psicodinamica

Secondo la teoria psicodinamica, gli attacchi di panico hanno un’origine esclusivamente psichica, in grado di scatenare una specifica ed automatica reazione neurobiologica (De Masi, 2004). Vengono distinti due momenti progressivi nel corso dell’attacco: una prima fase in cui l’ansia viene sperimentata psicologicamente; una seconda fase caratterizzata dalla predominanza di partecipazione corporea e durante la quale la paura iniziale si trasforma in ansia somatica incontrollata.

Dopo la prima esperienza, l’attacco di panico tenderà a ripresentarsi. Infatti, De Masi sostiene che la persona entra molto facilmente in un circolo ripetitivo per il quale lo sviluppo di un’automatica risposta ad ogni segnale ansiogeno tenderà a scatenare nuovi attacchi che, nel tempo, aumenteranno di intensità, fino a produrre nel paziente la sensazione di essere governato da una sequenza crescente di eventi che sembrano seguire un corso crescente ed inarrestabile.

La teoria psicodinamica sottolinea l’importanza della componente psico-emotiva nella genesi dell’attacco: l’attenta e costante identificazione di ogni segnale insolito, come un’ aumento del battito cardiaco o un dolore muscolare, porterà la persona ad immaginare un pericolo, da cui avrà origine la paura che, se non sarà contenuta, potrà tradursi in un sintomo somatico. In questo modo l’attacco di panico, creato dall’immaginazione, ma, allo stesso tempo, esperito concretamente dal paziente, si può fissare nella mente dell’individuo come un evento traumatico.

Parlando delle cause degli attacchi di panico  i meccanismi psicologici e biologici sono strettamente correlati. Per questo motivo, la teoria psicodinamica prende in considerazione anche alcune ipotesi neuroscientifiche, secondo le quali l’ansia somatica deriva da un’attivazione impropria, mediata dal sistema limbico, di primitivi meccanismi neurobiologici e neurochimici che hanno origine dall’amigdala e causano un cortocircuito di risposte psicosomatiche.

La visione psicodinamica sostiene che agorafobia (paura o grave disagio sperimentati in ambienti non familiari o in ampi spazi all’aperto) e attacchi di panico siano l’espressione di un conflitto intrapsichico. In aggiunta alle considerazioni neuroscientifiche, ritiene che i sintomi somatici (a cui può essere attribuita una chiara origine neurobiologica) non sono direttamente connessi al conflitto, ma ad una costellazione psicologica di base in cui la funzione di contenimento dell’ansia è andata perduta. Secondo quest’ottica, l’attacco di panico sarebbe l’espressione del fallimento delle funzioni inconsce che modulano e monitorano gli stati emozionali.

L’attacco di panico secondo la teoria cognitivo-comportamentale

Nella cornice teorica cognitivo-comportamentale, gli studi di Tull e Roemer (2007) dimostrano che nella genesi degli attacchi di panico assume una rilevanza centrale la capacità dell’individuo di modulare le proprie emozioni.

Tale capacità consente di modificare l’intensità o la durata delle emozioni, ha una funzione adattiva, poiché facilita la disponibilità dell’individuo ad entrare in contatto con l’emozione, e di conseguenza a sentirla meno minacciosa, e favorisce il perseguimento di specifici obiettivi. All’opposto, i tentativi di annientare l’emozione completamente o in risposta ad un’esperienza emotiva come la paura, la vergogna o altre emozioni negative, sono stati associati a risultati peggiori nella gestione della sfera emotiva. Nello specifico, i meccanismi che gli autori definiscono “evitamento emotivo”, “non accettazione dell’emozione” e “scarsa chiarezza e coscienza emozionale” sono connessi alla psicopatologia correlata ai disturbi d’ansia ed, in particolare, agli attacchi di panico.

Gli individui che hanno attacchi di panico manifestano una tendenza a temere ed evitare le sensazioni interne collegate all’esperienza del panico. Partendo da questo presupposto e in riferimento alle cause attacchi di panico, gli autori suggeriscono che la tendenza ad aver paura delle sensazioni corporee può portare l’individuo a generalizzare gli stimoli che producono reazioni fisiologiche simili all’ansia; tra questi è inclusa anche una potenziale esperienza emotiva particolarmente intensa.

Se, allora, alcune emozioni sono percepite come una minaccia a causa delle sensazioni interne che le accompagnano, è possibile che gli individui che sperimentano attacchi di panico accettino meno facilmente degli altri le loro emozioni e siano motivati per questo a sviluppare strategie di regolazione delle emozioni che rispondano ad una funzione di evitamento. Ne sono un esempio i tentativi di modificare la forma o la frequenza di esperienze interne non desiderate, tra cui, soprattutto, talune emozioni.

Nei loro studi le persone che sperimentavano attacchi di panico manifestavano anche una maggior tendenza a sopprimere e soffocare l’esperienza e l’espressione di emozioni negative e riportavano una maggiore difficoltà a riconoscere le proprie emozioni.

Risultati simili sulle cause attacchi di panico sono emersi dallo studio di Parker et al. (1993), che ha evidenziato nei pazienti affetti da disturbo di panico difficoltà ad identificare i sentimenti, difficoltà a descrivere i sentimenti; uno stile di pensiero orientato all’esterno.

Il modello di questi due autori assume dunque che la difficoltà nella regolazione delle emozioni caratterizzata da:

  • non accettazione emozionale
  • evitamento delle esperienze
  • poca chiarezza emozionale

La difficoltà nella regolazione delle emozioni può portare l’individuo a percepire le stesse come incontrollabili, imprevedibili e, pertanto, non accettabili nella propria esperienza personale.

La non accettazione delle emozioni e il ricorso a strategie di regolazione emotiva basata sull’evitamento dell’esperienza spesso producono un effetto negativo, in quanto i tentativi di evitare le emozioni possono effettivamente determinare un aumento dell’angoscia e della disregolazione.

Alcuni studi ulteriori sulle cause attacchi di panico hanno infatti evidenziato che la repressione dell’espressione emozionale può provocare un aumento dell’arousal fisiologico. Un aumento dell’arousal, nelle persone che sperimentano attacchi di panico, può accrescere l’ansia e, di conseguenza, la possibilità di incorrere in un ulteriore attacco. Inoltre, l’evitamento dell’esperienza può mantenere e rinforzare le associazioni apprese tra le sensazioni corporee legate al panico e la paura.

In ogni caso, qualunque sia la teoria più accreditata, sarà importantissimo per la persona cercare di comprendere quale messaggio vuole dare l’attacco di panico nella sua vita. Pertanto, è necessario che si rivolga ad uno psicologo per effettuare una valutazione psicodiagnostica, e valutare la possibilità di iniziare un percorso di psicoterapia.

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